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SOSPENSIONE DALLA MANSIONE E DALLO STIPENDIO IN CASO DI LAVORATORI NON IN POSSESSO DELLA VACCINAZIONE DA COVID-19

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SOSPENSIONE DALLA MANSIONE E DALLO STIPENDIO IN CASO DI LAVORATORI NON IN POSSESSO DELLA VACCINAZIONE DA COVID-19

Il tema green pass, come era prevedibile, ha portato alla luce i primi contenziosi.

All’indomani dall’introduzione dell’obbligo vaccinale per alcune categorie di lavoratori pubblici, la giurisprudenza si è espressa nel senso che l’obbligo in capo al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a garantire un ambiente di lavoro sicuro costituirebbe una base giuridica sufficiente a permettere allo stesso datore di imporre la vaccinazione, considerando legittima la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione di lavoratori non vaccinati.

La giurisprudenza di merito ha fissato alcuni parametri utili per individuare le soluzioni organizzative da adottare. In particolare, con riferimento a quei lavoratori che svolgono prestazioni lavorative che comportano un costante contatto con il pubblico o con l'utenza che renderebbe il rischio del contagio molto più alto:

L'ordinanza del Tribunale di Belluno del 19 marzo 2021 («ritenuto che è, pertanto, evidente il rischio per i ricorrenti di essere contagiati, essendo fra l'altro notorio che non è scientificamente provato che il vaccino per cui è causa prevenga, oltre alla malattia, anche l' infezione; ritenuto che la permanenza dei ricorrenti nel luogo di lavoro comporterebbe per il datore di lavoro la violazione dell'obbligo di cui all'art. 2087 c.c. il quale impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica dei suoi dipendenti; che è ormai notorio che il vaccino per cui è causa - notoriamente offerto, allo stato, soltanto al personale sanitario e non anche al personale di altre imprese, stante la attuale notoria scarsità per tutta la popolazione - costituisce una misura idonea a tutelare l' integrità fisica degli individui a cui è somministrato, prevenendo l'evoluzione della malattia».

Il principio è stato confermato dal Tribunale di Verona con sentenza del 24 maggio 2021, n. 446 e del 16 giugno 2021, n. 626) – emessa prima dell'introduzione dell'obbligo vaccinale per il personale sanitario e, in verità, riferita in modo specifico a tale categoria di lavoratori - ha ritenuto legittima l'adozione da parte del datore di lavoro di misure «consequenziali» (in quel caso la collocazione in ferie forzate) come conseguenza del rifiuto a vaccinarsi di un operatore di una RSA che svolgeva di mansioni “di contatto”. Sulla base di analoghe motivazioni, il Tribunale di Modena, con ordinanza del 19 maggio 2021, ha ritenuto legittima la sospensione dalla prestazione di lavoro di una dipendente di una RSA in seguito al suo rifiuto di sottoporsi al vaccino contro il Covid-19.

Muovendo dai principi sino ad ora affermati dalla giurisprudenza di merito, e tenuto conto delle mansioni in concreto svolte dai lavoratori, ma anche del contesto organizzativo di riferimento, si possono ragionevolmente ipotizzare alcune misure improntate ad un principio di gradualità e proporzionalità nella gestione del personale che assume la determinazione di non vaccinarsi: adibizione a mansioni equivalenti, o anche inferiori, il cui svolgimento non richieda il contatto con pubblico/colleghi e che, dunque, possano essere svolte in ambienti che non prevedono contatti con terzi; svolgimento della prestazione di lavoro in modalità agile, qualora il contenuto specifico delle mansioni sia compatibile e purché le stesse continuino ad avere, per il datore di lavoro, un valore economicamente apprezzabile. Ma anche iniziative più drastiche quali, ad esempio, la collocazione del dipendente in ferie forzate (secondo le indicazioni fornite dal Tribunale di Verona con sentenza del 24 maggio 2021, n. 446 e dall’ordinanza del Tribunale di Belluno).

Si tratta di misure destinate ad incidere in modo significativo sullo svolgimento della prestazione di lavoro e sui connessi diritti del lavoratore, sino al punto si indurre l'azienda a sospendere il pagamento della retribuzione. Ne deriva che la loro legittimità presenta, oggettivamente, profili di consistente incertezza in assenza di una specifica norma di legge che risolva la questione.

 

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